Mercyful Fate – “Melissa” (1983)

Artist: Mercyful Fate
Title: Melissa
Label: Roadrunner Records
Year: 1983
Genre: Heavy/Black Metal
Country: Danimarca

Tracklist:
1. “Evil”
2. “Curse Of The Pharaohs”
3. “Into The Coven”
4. “At The Sound Of The Demon Bell”
5. “Black Funeral”
6. “Satan’s Fall”
7. “Melissa”

Il lento morire di ottobre porta sempre con sé una strana atmosfera d’incertezza: di sospensione tra diversi piani esistenziali dettata essenzialmente dal trovarsi a metà strada nel placido quanto implacabile alternarsi stagionale. Le temperature sono ancora abbastanza miti, specie ahinoi in questi ultimi tempi, e tuttavia non si può fare a meno di notare i tanti indizi dell’inverno ghermitore sparsi nella natura; siano essi le foglie arancioni distese su prati e strade o i nuvoloni plumbei che dall’alto promettono una pioggia che solo raramente arriva, quasi a volerci incutere una strisciante inquietudine piuttosto che infliggerci condizioni metereologiche proibitive. Creatura benedetta dal dono di poter esorcizzare i propri timori, l’uomo altro non ha potuto fare che rivestire un curioso periodo simile di significati arcani, diversi a seconda di tempi e luoghi, eppure tutti collegati al campo semantico dell’atavica paura verso ciò che non ha contorni definiti, al cui cospetto ogni barriera -non ultima quella tra vita e morte- si infrange lasciando che la realtà divenga, magari anche solo per una misera notte, qualcosa di confuso, di incatalogabile e perciò di maledettamente spaventoso.
Doveva allora per forza di cose essere quella che separa ottobre da novembre, nella notte di Ognissanti, la calata definitiva del sole estivo in favore di dodici ore di buio nelle quali gli spiriti dei defunti intendevano prendersi il mondo alle spese degli stessi vivi che li avrebbero celebrati il giorno dopo; e doveva essere per forza la notte immediatamente precedente a quest’ultima, quella della genesi di un album capace, pur nel suo piccolo, di rimettere in discussione i canoni della musica oscura spalancando cancelli arrugginiti e portoni istoriati al fine di permettere alle medesime anime dannate di appropriarsi anche delle chitarre distorte, dei bassi tonanti, degli ossessivi tamburi e della voce inconcepibile forniti da un five-piece di Copenhagen qui al debutto, ma da subito destinato ad un posto fisso tra i più grandi dei suoni pesanti.

Il logo della band

Volendo fare i puntigliosi, la prima seria testimonianza delle capacità dei Mercyful Fate con i rispettivi strumenti consisterebbe in realtà nell’omonimo mini-album dato alle stampe l’anno prima: a suo modo generoso nei contenuti sonori come nell’immaginario orrorifico (senza risparmiarsi una punta di sano erotismo) il quale, nel medesimo anno di grazia 1982, vede oltretutto il boom registrato da certi Iron Maiden col terzogenito “The Number Of The Beast” e la conseguente ondata di satanic-panic da parte di genitori frustrati, giornalisti sfaccendati e varie altre figure pubbliche di tutto il mondo anglosassone. Ai cinque danesi bastano però nemmeno dodici mesi per essere notati dall’altrettanto giovane ed intraprendente Roadrunner Records, per chiudersi in sala d’incisione ed uscirne soltanto dopo aver tirato fuori uno dei quantomeno dieci dischi Heavy Metal più importanti dei fondativi Eighties: ad otto lustri dalla sua pubblicazione, “Melissa” non ha infatti perso un’oncia del suo magnetismo tutto disturbante, anzi si è confermato un lavoro davvero senza tempo, tanto da fare breccia non solo negli ascoltatori più giovani come difficilmente avviene con opere di culto sfornate negli anni ’80, ma pure tra appassionati di generi a dire il vero parecchio lontani come sensibilità e suono dal fragore del metallo ottantiano. Superfluo quindi specificare, giunti al presente 2023, come il motivo di un simile alone di stima e rispetto intorno a band e relativo esordio risieda in quel pregiatissimo ventaglio di molteplici fattori che sono compositivi, sonori ed iconografici, così ricco da rendere la creatura del mitologico King Diamond -specie nell’incarnazione originale antecedente alla carriera solista- una sorta di asso pigliatutto dove chiunque, a prescindere da cosa le sue orecchie prediligono, potrà trovare elementi affini, peraltro sapientemente spinti al massimo non certo per mera propensione all’eccesso quanto invece per compensare le restanti componenti di una ricetta nel suo insieme non poi così appetibile; ciononostante, una in grado di soddisfare parimenti il fan dell’Hard ‘N’ Heavy classico coi suoi riff rocciosi e solos urlanti, quello del Prog (e magari anche di certo Thrash dal sapore avanguardistico) con le sue strutture coraggiose ed imprevedibili, ed infine il blackster che nei Mercyful Fate, nel loro cantante e in quelle criptiche composizioni rivede oggi così tanto della weltanschauung portata a compimento dai suoi similmente pittati eroi nel giro di una decade.

La band

Difatti, se da una parte persino chi non ha troppa familiarità con il gruppo in questione, o al contrario col Black Metal inteso per lo meno nella sua forma originale, può tracciare senza fatica le divergenze artistiche che intercorrono tra i due, ciò non toglie che il comunque fortissimo legame tra di essi possa benissimo essere interpretato quale prova delle notevoli capacità di rielaborazione, invero sovente sminuite dai più ignoranti, dimostrate dal genere appena citato, come del resto della modernità assoluta della band nordica in oggetto e del suo operato. Occorre pertanto inquadrare “Melissa” e l’intera prima fase di vita dei Mercyful Fate all’interno del loro contesto storico, nel quale il big bang rappresentato dal ferale Welcome To Hell” aveva scardinato ogni tabù o limitazione in fatto di buon gusto grazie ad un occultismo abbastanza da operetta, divertito e sfrontato in modo da incarnare la conflittuale attitudine punkish dei Venom ma pure risibile nelle sue esagerazioni volte ad intrattenere i giovani discepoli coprendo l’evidente vacuità di Cronos e soci in merito all’argomento demoniaco. Quella del quintetto, a prescindere dalle reali intenzioni dei componenti, si inserisce allora quasi a mo’ di risposta per così dire intellettuale agli sforzi dei tre di Newcastle: tanto nell’approccio alle tematiche luciferine quanto soprattutto nella cura di prestazioni ed arrangiamenti. Si pensi alla sublime “Evil”, che da sola brucia in partenza qualunque raffronto con eventuali concorrenti schierando da subito, senza bisogno di banali introduzioni, le asce fuori controllo del magico duo formato da Hank Shermann e Michael Denner, sostenute dall’altrettanto scatenata sezione ritmica fino all’attacco della strofa che presenterà al mondo la leggendaria ugola di King Diamond – un ululato straziante dalle imprevedibili impennate in falsetto spesso e volentieri rivaleggianti con gli acuti delle sei corde, e le cui potenzialità teatrali e narrative non hanno rivali nemmeno tra gli urlatori inglesi capeggiati da Rob Halford.
Evidente frutto di una scrittura equilibrata fra i vari membri, pur con ovviamente in testa singer e chitarristi, “Melissa” segna un distacco netto dall’EP self-titled mostrando un songwriting semplicemente pazzesco, memorabile in alcuni snodi come l’avvincente refrain di “Curse Of The Pharaos”, negli arpeggi evocativi e la battaglia tra Denner e Shermann al centro di “Into The Coven”, ed allo stesso tempo sempre incline ad evoluzioni ritmiche a dir poco impressionanti specie se calate nel quadro del Metal europeo dei primi ’80, quando i pesi massimi della N.W.O.B.H.M. flirtavano senza problemi con le classifiche di Billboard a suon di singoli di quattro minuti pensati per la radio.
In senso pertanto uguale e contrario alla dissacrante rozzezza degli speculari Venom, l’attitudine Progressive ed un poco snob incarnata dai Mercyful Fate segna uno scarto tra di loro ed altre entità interessate al satanismo e si traduce in visioni sì spettrali ma mai sopra le righe: becchini indaffarati con pale e casse sotto il plenilunio, severi monaci apostati convertiti alla Mano Sinistra, ectoplasmiche dame in lunghe vesti bianche e col candelabro in mano intente a vagare per antichi manieri formano, infatti, insieme, un immaginario gotico assai più completo ed interessante rispetto alla cartoonesca adorazione del Diavolo finora proposta, il quale si interseca perfettamente al dedalo di soluzioni su cui poggia la titanica “Satan’s Fall”. Cuore pulsante dell’intero disco, se vogliamo, tale odissea mefistofelica di oltre undici minuti di maestria mescola dinamico barocchismo strumentale e sottili suggestioni ossianiche con un bilanciamento sopraffino ed irreplicabile, forse in tale senso e con una tale magnitudine non riuscito nemmeno più allo stesso cantante nei riveriti concept-album di fine decennio.

Non rimane quindi che la chiusura soffusa e bisbigliata di una title-track magistrale nel suo drammatico impatto prima di sigillare l’ascolto, pigiare di nuovo il fatidico tasto play e perdersi nuovamente tra cimiteri nebbiosi e cattedrali profanate, guidati da cinque spiriti che di questi luoghi hanno fatto la propria dimora. Dedicato come noto alla strega il cui teschio era stato posseduto da King Diamond e trafugato pochi anni dopo il suo rilascio, “Melissa” è un esordio che semplicemente non può passare inosservato, e che per l’appunto finisce con lo (s)consacrare l’ensemble di Copenhagen quali nuovi portabandiera della corrente shock rock sull’onda di un alone di mistero assente dai tempi dei Black Sabbath ed una credibilità allora riservata al solo Alice Cooper. Al di là però delle innumerevoli leggende metropolitane e del pesante trucco facciale divenuti sinonimo col nickname di colui che all’anagrafe fa Kim Petersen, l’eredità lasciata dai Mercyful Fate specialmente ai posteri dediti alla Fiamma Nera consiste nel aver potuto coniugare lo zeitgeist macabro del periodo ad atmosfere per così dire nobili, e di rimando ad impalcature sonore di pari passo ardimentose. Che si parli dunque della notturna visionarietà dei dichiarati ammiratori Emperor, degli scenari grandguignoleschi e dell’esuberanza vocale dei Cradle Of Filth, ed in generale dell’evoluzione a metà Nineties dell’iconografia Black Metal, passata da barbari demoni delle foreste ad aristocratici votati a culti proibiti, un ringraziamento per tutto ciò va fatto anche e soprattutto alla cometa nera Mercyful Fate, riapparsa non a caso nei cieli ad una decade esatta dal debutto per indicare la strada ai nuovi servitori dell’Avversario; ed una volta superata la catarsi finale del tentacolare “Don’t Break The Oath” di nuovo in bilico tra eccesso e misura, così come tra questa esistenza e quella dopo si muovono incerti i mortali quando giunge, inevitabile, il lento morire di ottobre.

“Halloween is the night…
The legend says the ghost will rise
On Halloween they can’t redeem
A restless soul from an ancient scene…”

Michele “Ordog” Finelli

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